Aveva debiti,
beveva e picchiava,
eppure era un genio.
Napoli era un nascondiglio,
l’ultima spiaggia,
eppure lo accolse e lo rese grande,
lo attese nei vicoli bui e nelle facce del popolo.
I suoi occhi vedevano e riproducevano corpi emersi dalla luce
figure che l’hanno reso immortale
parlando ancora di lui a chi le guarda.
I più non conoscono il suo nome
per i più Michelangelo, quello vero
era quello del marmo scalfito per rabbia
e manco i napoletani sanno
che il volto barbuto sulla centomila lire
è quello del pittore della grande tela delle Sette Opere di Misericordia
e manco sanno i napoletani che la grande tela è sull’altare
di quella chiesa che non sembra una chiesa
di fronte a San Gennaro sull’alta guglia.
Agnese è lì,
i piedi fermi e uniti sul pavimento di marmo intarsiato
gli occhi fissi sul dipinto del Caravaggio
e i primi capitoli della tesi in borsa,
e ancora non sa
gli anni passati a studiare per il concorso
la prima volta che siederà alla cattedra
ancora non sa
le facce insofferenti degli studenti
che diventeranno interesse solo quando parlerà del dipinto di Caravaggio
quella ricompensa per lo studio disperato e rapito
premiando il suo amore per quella chiesa che non sembra una chiesa
adesso sente solo il silenzio ed il freddo
in piedi di fronte alle Sette Opere di Misericordia
e l’unica cosa che ha chiara in mente è la strada che deve percorrere per tornare a casa
tra le strette salite di Montesanto
e sa solo che non ha mai avuto niente di meglio
della soddisfazione di scoprire
che Caravaggio è lì nella sua Napoli
che non ha il bisogno di inseguire l’arte tra le capitali d’Europa,
che Caravaggio è passato da lì
lasciandovi la sua opera più grande
e tutte le speranze per una giovane napoletana
che non ha voglia di andare via
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Disegni di Mary Cinque
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