Buona la prima: QS – L’anima in sala

Per chi guarda Napoli come fosse uno spettatore, come capita di fare a me, l’occasione della prima del film di Cyop&Kaf, “Il Segreto”, proiettato tra le pareti del Cinema Astra, era un’occasione da non perdere.

Così, ieri sera, e dopo averlo lungamente preventivato ed organizzato, mi sono infilata in macchina ascoltando questo pezzo qui, e sono andata al cinema in Via Mezzocannone, con un buon tempo d’anticipo rispetto all’orario previsto per l’inizio del film, perchè avevo paura di non trovare il posto e perchè a me, al cinema, mi piace andare presto – e forse anche perchè avevo visto l’altissimo numero di persone che avevano assicurato la loro partecipazione perlomeno virtuale cliccando sulla pagina evento di Facebook.

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Già la visione del trailer e di qualche stralcio degli “Appunti visivi dai Quartieri Spagnoli” intitolati “Quore Spinato” avevano del tutto attirato la mia attenzione perchè emergeva con immediatezza, quasi con prepotenza, la vicinanza con cui Cyop&Kaf erano riusciti a ritrarre dal vero i loro protagonisti, però usando una videocamera al posto dei pennelli.

Per me che amo respirare il colore di questa città, la prima è stata il giusto evento a coronamento di un progetto che mi è sembrato volesse porre l’accento sulla contradditorietà dei luoghi e delle persone.

Infatti, oltre che alla location, situata ai margini del Centro Storico ma proprio sull’incisione profonda della mano del Risanamento di fine Ottocento, anche il pubblico era dei più eterogenei, ragazzi che ti capita di vedere tutti i giorni al centro, gente un po’ più adulta, amici tuoi, signori coi capelli bianchi – ed i protagonisti del film, a cui erano state riservate quattro file centrali: ragazzini e ragazzine con le loro famiglie, signore e padri dei Quartieri Spagnoli.

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Sapevo della trama: avevo letto la locandina che avevo trovato da Cammarota, facendo l’aperitivo proprio sui Quartieri, ed avevo già visto i lavori dei due artisti sparsi sulle porte dei bassi e sui muri dei vicoli; sapevo come il progetto si fosse sviluppato durante tre anni di compenetrazione e di scambio totale tra Cyop&Kaf ed i Quartieri Spagnoli – loro e le mura, i posti, le persone.

Mi aspettavo dunque di vedere le imprese dei ragazzini dei Quartieri Spagnoli intenti a procurarsi il legno per cippo di Sant’Antonio. Quello che non mi aspettavo era di sentire in sala i loro commenti, le loro risate nei passaggi più concitati o addirittura gli applausi durante i momenti salienti; seduti proprio davanti a me si scambiavano ogni tanto un cellulare, mentre le ragazze scattavano foto nel buio, ed il tutto ha reso lo spirito del progetto ancora più reale, le contraddizioni evidenti,

l’anima dei Quartieri Spagnoli fin dentro la sala.

Gli “Appunti visivi”, il documentario intitolato Quore Spinato, sono stati invece l’emozione che ha confermato tutto quello che la mente aveva pensato fino a quel momento.

Un’umanità brulicante e fremente, che scalpita per emergere, che spende le sue energie attorno ad un rito antico ed anacronistico, che sa rimanere ancora spontanea da una videocamera, alla quale sa regalare tutta la verità della sua voglia di fare senza sapere.

Un’umanità fatta di signore affacciate e uomini agli angoli dei vicoli, chi sostiene e chi osteggia ragazzini disposti a tutto pur di sentirsi adulti

– eppure tutti, nessuno escluso, nessuna delle facce di questa umanità può resistere al richiamo della pittura, nessuno riesce a non rimanere affascinato da quelle opere d’arte improvvise, che compaiono davanti agli occhi come una sorpresa durante un’ordinaria passeggiata

– tutti le notano, sanno dove sono, qualcuno ne va fiero, i bambini, anche quelli più piccoli, vogliono prenderne parte.

Così si vede bene quel Quore Spinato, quella corona di spine intrecciata finemente e difficile da districare, se ci provi ti fai male;

così capisci cos’è QS, quell’acronimo che significa due cose, e significa entrambe molto bene.

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Per chi guarda Napoli come fosse uno spettatore, i Quartieri Spagnoli sono uno spettacolo affascinante ed imperdibile.

I Quartieri Spagnoli mi hanno sempre attirata, nei miei limiti ho sempre provato ad esplorarli per poter dire di conoscerli, eppure continuo a dimenticare il nome giusto di ogni vicolo; non so andare in motorino perchè da bambina avevo paura di imparare ad andare in bicicletta – e mai ho imparato – però amo esserne il passeggero quando il motore si arrampica risalendo i Quartieri fino al Corso per riuscire almeno ad avere quella prospettiva;

io sono cresciuta su una strada larga e trafficata, con i pullman che facevano tremare le pareti ed i soprammobili della cucina, e quelle strade strette descritte sui manuali come progetto di sistemazione urbanistica vicereale e sui quotidiani come sede di malavita e criminalità erano sempre state un invito silenzioso, una porta su quella lingua parlata dalla nonna ma proibita a scuola dalle maestre, una strada da percorrere per ritrovare il dialetto e le facce e l’umanità dei napoletani che non sono cresciuti sulle strade larghe, e sanno dire, a volte senza saper parlare, qualcosa che noialtri non riusciremo mai a dire, e che quando lo comprendiamo ci rapisce e ci riempie di ammirazione.

Cyop&Kaf hanno aperto una di quelle porte dove a Napoli si entra piano piano ma senza bussare.

Io consiglio a tutti voi di entrarci a fare un giro, alla Sala Assoli, dal 6 al 9 Febbraio.

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La faccia mia sotto ai piedi tuoi a Piazza del Plebiscito

Stamattina, tra gattina e caffè, ho pensato che il freddo era sconvolgente, e messo un plaid sulle spalle, ho constatato che luce, clima e plaid mi ricordavano fin troppo i gelidi risvegli londinesi.

Leggendo i soliti status di carattere meteorologico, anche oggi è stata la Home di Feisbuk a fare la giornata: la notizia che ho pubblicato ieri, in un post che  potete leggere qui, è arrivata fin su Il Mattino.

In posta ho trovato email e commenti, domande, voglia di denunciare il tutto ed ottenere una condanna, che paghino, come hanno osato?

Ed io, che ancora volevo scrivere il post che state leggendo adesso, mi sono immediatamente messa alla tastiera, dopo aver consultato di nuovo il manuale di restauro studiato all’Università e stavolta ascoltando questo pezzo qui.

Commenti, domande, denunce e critiche mi guidano nella stesura di queste righe.

Grave, e perchè è grave?
Che doveva fare Mario Martone con la sua troupe?
Che doveva fare, il santo benefattore di Napoli?
Farsi carico di spese ed oneri che non gli spettano e riportare Napoli ed i suoi monumenti al suo antico splendore?

Io dico: no, assolutamente. Esiste però un’etica, se non addirittura una coscienza.
Passare una pittura su un marmo storico non è nè più nè meno che scriverci sopra con la bomboletta. E’ imbrattare indiscriminatamente il Patrimonio culturale, che si chiama così proprio perchè appartiene a tutti.

Ma la coscienza non dovrebbe fermarsi a questo. Potrebbe fare addirittura un altro step: pensare a qualcosa di non permanente e di non invasivo.

Anche i writer lo sanno, loro che “il muro cittadino è la mia tela”: non si pitta sulle pietre. Le pietre, soprattutto quelle napoletane, come il tufo o il piperno, e non per ultimo il marmo, sono porose, assorbono come una spugna, è difficile se non impossibile ripulirle del tutto.

La pittura della troupe ora deturpa in maniera permanente quella che è una delle più importanti opere napoletane, se non quella più conosciuta dai turisti/crocieristi che non arrivano più in là di Via Chiaia.

E allora, alla fine,  se proprio nessuno spiega come sia stato possibile, che doveva fare Martone?
Il restauro dei monumenti?

No, poteva lavorarci in post-produzione sugli obbrobri. O girare la telecamera altrove.

Poteva girarci intorno, invece di calpestare.

“Il giovane favoloso”, che racconta gli ultimi anni di Giacomo Leopardi, che di Napoli era innamorato, è stato girato anche in altre città italiane. A Roma. A Firenze. A Recanati. E lì, come si sono comportati tutti?

Certo, dimenticavo: Napoli non è Italia. A Napoli se pittiamo il bianco sopra lo sporco stiamo facendo solo una cosa buona.

E sulla carta da parati, che tieni da ridire? Mica è permanente?

No, è vero, non lo è.

Il famoso link che aveva scatenato la mia curiosità poneva l’accento sul commento che alla cosa aveva dato Francesco Emilio Borrelli, leader degli Ecorottamatori, il quale con amarezza s’indignava di una cura per i nostri beni culturali e monumentali  di carattere saltuario e opportunista, ovvero solo in occasione di eventi, riprese cinematografiche e televisive.

E’ molto peggio di così. Ai nostri beni culturali ci sputano sopra, e poi esce la notizia che hanno fatto qualcosa di buono. Che hanno riportato alla luce le venature del marmo.

Invece no. Sono disegni su carta da parato. Quel marmo là, il basamento all’opera del Canova, sta prigioniero sotto quelle false venature.

Non è stato difficile leggere in rete, già da una settimana, che la pellicola è prodotta da Rai Cinema, con i contributi, tra gli altri, della Regione Marche e del Ministero per i Beni Culturali. Addirittura una cifra: otto milioni di euro.

Ma quanto costano le buatte di pittura e i rotoli di carta da parati?

Avrà detto il ferramenta: “E a che vi serve?”

Ma prima di andare dal ferramenta, sicuramente l’assistente di produzione o chi per lui, sarà andato al Comune di Napoli, a chiedere l’autorizzazione per riprese cinematografiche in luogo pubblico e storico, come prescrive la prassi.
Il Comune, secondo la prassi, dopo aver richiesto ai produttori un’assicurazione a copertura di eventuali danni, concede l’autorizzazione interessandosi  di date e fasce orarie, dell’argomento della fiction, e dell’effettiva entità dell’impatto che le riprese avranno sul bene storico.

A noi, cittadini ed amanti della città, non è dato sapere tutto questo. Non sappiamo chi abbia autorizzato cosa, non sappiamo dove fosse il Comune mentre i fravecatori fravecavano, non sappiamo perchè nessuno di coloro che avrebbero dovuto fare l’interesse del nostro patrimonio e del nostro retaggio culturale se ne è interessato.

Il problema è proprio questo, neanche tanto le condanne e la giustizia – probabilmente è ottenibile perlomeno un risarcimento danni  – a me interessa la strafottenza.

Basta scrivere “pulitura marmo” su Google – senza neanche andare a scomodare Cesare Brandi, padre della disciplina del restauro – e vengono fuori molti metodi economici e casalinghi, consigliati da quelle signore che tengono le scale di marmo nel palazzo.

A me interessa l’ignoranza.

Lo sanno che, quando vide quelle colonne, Ferdinando dovette pensare che avrebbe trasformato quell’affronto in un lustro per il suo regno?  Che avrebbe fatto un pantheon di marmo, come quello famoso di Roma, che all’epoca manco era capitale?

Lo sanno che dopo il 1861 il Re d’Italia volle soggiornare proprio a Napoli, di fronte a quel Pantheon borbonico, per instaurare la sua presenza nel Regno più ricco e potente della penisola fino ad allora?

Non era bastata la chiusura di un’ala del colonnato, o il posizionamento di una rete di sicurezza di colore verde al sotto delle campate per arginare la caduta d’intonaci, non erano bastate le erbacce che crescono rigogliose, o i tanto discussi graffiti;

l’offesa all’ex voto di Ferdinando  si è perpetrata ancora, senza rispetto per quella spesa e quello sforzo che nell’immaginario di un Re che riconquista il proprio regno doveva corrispondere a costruire un’elegante corona di marmo per la sua capitale.

Oggi, Ferdinà’, ci abbiamo passato un poco di stucco sopra.
Ecco il tuo pantheon, ecco la tua capitale, i tuoi ministri.

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Sotto il tappeto a Piazza del Plebiscito

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Abitudine mattutina discutibile – questo sicuramente – di una buona percentuale di giovani napoletani nati dopo l’ottantatrè è quella, appena svegli, di pigliarsi il caffè e dare un occhio a Feisbuk.

Una mattina della settimana scorsa, con la tazzina in una mano e la rotella del mouse nell’altra, e con un buon pezzo in sottofondo – questo qui – scorrendo la Home dell’amato/odiato social network ho visto diversi amici condividere quella che è stata la notizia del giorno: Piazza del Plebiscito ripulita dai graffiti e dalla sporcizia per le riprese del nuovo film di Mario Martone, intitolato “Il giovane favoloso”.

Il link condiviso – a cui potete dare un occhio qui – era correlato di foto al set e alle riprese che mostravano comparse e attori in costumi d’epoca, incastonati tra il bianco splendente dei marmi e delle colonne della Basilica di San Francesco di Paola e delle statue equestri dei Borbone, con il mare ed il fianco del Vesuvio sullo sfondo.

Chiaramente, quella mattina della settimana scorsa, come prima cosa dopo aver letto e visto, anch’io ho condiviso il famoso link, e con tanto di errore di battitura dovuto all’occhio azzeccato di sonno, nello stile quasi epigrafico della mente appena sveglia neanche in grado di imbastire una consecutiva, questo è stato il mio commento:

“Emoziona vedere finalmente il bianco dei basamenti delle statue equestri.
Una delle più belle piazze che si possano pensare, affacciata sul mare.
Sempre vi dovete mettere scuorno, però”.

Chiaramente, da fanatica di quella che è una città bistrattata persino da chi l’amministra, quel giorno ho voluto andare a vedere la piazza messa a lucido ed ingioiellata, dopo il caffè, un pranzo frettoloso compensato da un babà a crema da Scaturchio e una passeggiata sotto l’ombrello da San Domenico alla Galleria Umberto I.

“Che fai, ci vieni a vedere Piazza del Plebiscito?”

La piazza era incorniciata dalla pioggia fitta, nel buio della sera che di questi tempi arriva già alle cinque. Stretta nel cappotto, ho misurato i passi sotto il colonnato semicircolare, fino a giungere al suo centro, al pronao della basilica.

La curiosità che ha affrontato il diluvio di quel pomeriggio si è scontrata con una mano di pittura stesa ad altezza uomo. Pennellate di grigio e di bianco, ben visibili, passate sulle colonne e sui pilastri del pronao,  ma solo dove era necessario alle riprese.

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L’incredulità ha avuto bisogno di toccare con mano, per constatare al tatto che veramente i marmi ottocenteschi erano stati ricoperti di una non meglio identificata pittura.

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La pioggia era finita, così ho voluto avvicinarmi alle statue equestri di Carlo III e Ferdinando I, magnifiche opere di bronzo poste su podi di marmo.

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Lì, lo scarso rispetto per il patrimonio storico e per la sua conservazione si è trasformato addirittura in una presa in giro fatta di carta da parati simil marmo, ritagliata in strisce verticali ed applicata secondo necessità.

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Come spazzare la polvere sotto il tappeto.

La rabbia mi ha portato il giorno dopo ancora lì, armata di macchina fotografica, a documentare lo scempio immersa nel gelo pomeridiano di questi giorni.

Qui, tutte le foto che ho scattato.

A prescindere dalle eventuali considerazioni e sicure jastemme – delle quali vi parlerò domani – che tutto ciò ha provocato in me, rimane il fatto che queste fotografie costituiscono ancora una volta il documento del  decadimento e dello stato d’abbandono in cui versa il patrimonio monumentale cittadino.

Come se questo non esistesse, come se non fosse storia, come se non fosse neanche patrimonio costituente un’ipotetica fonte di introito e forse anche di vanto per la nostra città; come se Napoli, ancora una volta, come dice un famoso testo che non amo molto, fosse solo “‘na carta sporca, e nisciuno se ne ‘mporta” .

E se Pino Daniele mi faceva schiattare in corpo, figuratevi questi qua.